Reparto numero 6 by Anton Čechov

Reparto numero 6 by Anton Čechov

autore:Anton Čechov [Čechov, Anton]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Russia zarista, critica sociale, manicomio, oscurantismo, Religione, condizioni di vita, Politica, racconto allegorico, psichiatria, ospedale.
editore: Bibliotheka Edizioni
pubblicato: 2018-06-30T22:00:00+00:00


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Ivan Dmitric stava là sdraiato nella stessa posa del giorno prima, con la testa serrata fra le mani e le gambe contratte. Il viso gli rimaneva invisibile.

«Buon giornata, amico mio» esclamò Andrej Efimyc. «Non dormite, vero?»

«In primo luogo, non sono amico vostro» ribatté Ivan Dmitric, con la bocca nel cuscino. «E poi, perdete tempo a gironzolarmi attorno: non riuscirete a cavarmi fuori una parola.»

«Strano...» mormorò Andrej Efimyc, turbato. «Ieri stavamo conversando tanto placidamente, e tutt’a un tratto, non so perché, vi siete inalberato troncando ogni cosa... Senz’altro devo aver avuto una qualche espressione poco felice, o chissà, ho manifestato qualche idea in disaccordo con le vostre convinzioni...»

«Sì, perché adesso vengo a dirlo a voi!» disse Ivan Dmitric, sollevandosi un po’ sul giaciglio e fissando il dottore con aria beffarda e inquieta (aveva gli occhi arrossati). «Be’, potete andare a far la spia e il provocatore in qualche altro posto, ma qui, per voi, non c’è niente da fare. Fin da ieri sera lo avevo capito perché eravate venuto qui!»

«Strana fantasia!» ridacchiò il dottore. «Sicché vi sta in mente che io sia uno spione?»

«Esattamente, mi sta in mente così... Infatti, o che siate uno spione, o un dottore mandato a scrutarmi nell’intimo, è la stessa cosa.»

«Oh, siete proprio, scusate... un gran baggiano!»

Si era seduto, il dottore, su uno sgabello lì alla sponda del letto e, in aria di rimprovero, scrollava la testa.

«Ma ammettiamo pure che voi abbiate ragione» esclamò. «Ammettiamo che io a tradimento sia venuto qui per sorprendervi in atto di dir qualche frase, sì da potervi denunciare alla polizia. Vi arresterebbero, e poi vi farebbero il processo. Ma forse in tribunale o in carcere, per voi andrebbe peggio di qui? E se vi mandassero in una colonia penale, o foss’anche ai lavori forzati, sarebbe qualcosa di peggio che star rinchiuso in questo padiglione? Suppongo che peggio non sarebbe... Che cosa avete dunque da temere?»

Queste parole, evidentemente, ebbero effetto su Ivan Dmitric. Egli si mise tranquillo a sedere. Erano le cinque della sera, ora in cui abitualmente Andrej Efimyc passeggiava su e giù per le sue stanze, e Darjuska veniva a domandargli se non era tempo che bevesse la birra. Fuori il tempo era calmo e sereno.

«Io, dopo desinato, sono uscito a fare due passi, e così sono entrato qui come vedete» disse il dottore. «È proprio arrivata la primavera!»

«Che mese è adesso? È marzo?» domandò Ivan Dmitric.

«Sì, è la fine di marzo.»

«C’è molto fango in giro?»

«No, non troppo. Nel giardino i viottoli sono già rassodati.»

«Di questi tempi sarebbe bello fare una scarrozzata in qualche posto fuori città» esclamò Ivan Dmitric, stropicciandosi gli occhi arrossati, come per vincere un’assonnatezza. «Poi ritornarsene a casa, al tepore e ai comodi del proprio scrittoio e... e farsi curare del mal di capo da un bravo dottore... Oh, quanto tempo è che io non conduco una vita umana! Qui è nauseante, sapete? È insoffribilmente nauseante!»

Dopo l’eccitamento di iersera, egli era spossato e abbattuto, e parlava malvolentieri. Le dita gli tremavano e dal viso s’indovinava che aveva un gran dolor di testa.



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